Come comportarsi se parenti o amici soffrono di disturbi alimentari.
E’ un pensiero molto comune quello di associare un disturbo alimentare (anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata e altri disturbi non specificati) ad una persona che presenta eccessiva magrezza. In realtà non è sempre così. Si stima che in Italia sia circa il 5,3% della popolazione a soffrirne, ma di questa percentuale una buona parte è normopeso o sovrappeso.
Questo dato contribuisce sicuramente a far passare inosservato un disturbo alimentare agli occhi degli amici, parenti, partner e purtroppo anche familiari della persona che ne è colpita. Inoltre chi ha un disturbo alimentare tende a nascondere i propri comportamenti tipici della malattia agli occhi di chi gli vive intorno, scivolando ulteriormente in una “gabbia” di solitudine, incomprensione e isolamento.
Ed è proprio questo senso di “isolamento” che peggiora ulteriormente l’andamento del disturbo.
Per questo oggi vogliamo dare alcuni consigli a parenti e amici di persone che soffrono di un disturbo alimentare. Se proviamo a metterci nei panni di chi è a contatto tutti giorni con questa realtà in qualità di conoscente, amico, parente, non è difficile sentire sin da subito un grande peso: pur non essendo direttamente colpiti in prima persona, si soffre e si avverte l’ insopportabile macigno dell’”essere impotenti”, inadeguati, troppo piccoli di fronte ad un subdolo e potente disturbo.
Il nostro primo consiglio è quello di non troncare mai la comunicazione con chi ha un disturbo alimentare o con chi pensate possa soffrirne: dietro a un atteggiamento schivo, solitario, impenetrabile, si nasconde un universo immenso fatto di sensibilità, intelligenza, fragilità e forza insieme, voglia di sentirsi compresi ma non giudicati, bisogno di non sentirsi soli. Le persone che soffrono di un disturbo alimentare potrebbero trovare un grande sollievo in una comunicazione che possa essere uno scambio reciproco privo di giudizio, soprattutto se è l’altro ad aprire il discorso (in maniera delicata) così da alleggerire da questa incombenza il diretto interessato.
Siccome l’amico o il familiare si trova in una situazione davvero difficile da gestire abbiamo pensato ad alcuni consigli che potrebbero essere molto utili:
– Non iniziamo la conversazione se in realtà non abbiamo a disposizione del tempo da dedicare alla persona interessata: se quest’ultimo decide di condividere con noi argomenti così delicati merita tutta la nostra attenzione, e tutto il nostro tempo, perché una brusca interruzione potrebbe portare ad esiti negativi come una ulteriore chiusura e senso di inappropriatezza e isolamento.
– Rispettiamo la sua privacy: se vogliamo condividere con altri le confidenze che la persona ci fa, chiediamo a lei stessa il permesso di farlo.
– Non giudichiamo: spesso di fronte a un qualcosa di incomprensibile e contorto assumiamo per “difesa” un atteggiamento giudicante. Cerchiamo invece di essere neutrali, di ascoltare, accogliere, immedesimarci, e non fare commenti inappropriati.
– Non diciamo frasi del tipo “basta che tu mangi / basta che tu non mangi più così”: un disturbo alimentare non si risolve con più o meno cibo, ma con un percorso strutturato di tipo riabilitativo psico-nutrizionale, dove appunto il cibo è soltanto una piccola parte del processo terapeutico. Con frasi del genere la persona non si sentirebbe compresa e troncherebbe la conversazione.
– Non concentriamo l’attenzione tutta sul disturbo, ma diamo attenzione alla persona: la persona con il disturbo alimentare non è il proprio disturbo, ma innanzitutto una persona! Diamo attenzione ai suoi sentimenti ed emozioni piuttosto che ai suoi comportamenti nei confronti del cibo, del peso, delle forme corporee.
– Non facciamo commenti sul suo corpo, sul suo rapporto con il cibo e con la propria immagine corporea, rischieremmo infatti di ricevere come risposta una chiusura, e un senso di incomprensione.
– Cerchiamo di avere un “ascolto attivo”: I disturbi alimentari sono molto complessi e spesso chi non è un terapeuta con formazione specifica a riguardo si può sentire smarrito e privo di una soluzione. Tuttavia mostrando alla persona il proprio interesse, la voglia di ascoltare e di voler comprendere , la farà sentire meno sola e quindi sicuramente meglio.
– Comunichiamo anche con il “linguaggio del corpo”: evitiamo atteggiamenti e posizioni di “chiusura” come braccia conserte, sguardo altrove, eccessiva distanza dall’interlocutore, e proviamo a cercare lo sguardo di chi ci è di fronte, studiamone l’espressione, manteniamo un ascolto attivo e un atteggiamento di apertura e comprensione.
Infine condividiamo con voi un “vademecum” che durante la terapia consegniamo ai familiari di persone con disturbo alimentare (tratti dal libro “Il peso del corpo” di Ruocco e Alleri) :
– documentarsi correttamente sui disturbi del comportamento alimentare e sui trattamenti più validati scientificamente;
– avere un atteggiamento disponibile e desideroso di cercare una soluzione;
– avvalersi prima possibile dei consigli psico-nutrizionali di esperti che hanno una formazione specifica per il trattamento dei disturbi alimentari;
– migliorare la comunicazione e le relazioni tra tutti i componenti della famiglia;
– non giudicare;
– non sottovalutare i problemi;
– non semplificare i problemi riducendoli a pura e semplice “questione di volontà”;
– evitare la colpevolizzazione del paziente per i suoi comportamenti;
– non attuare comportamenti violenti come conseguenza delle azioni/ provocazioni;
– considerare questi comportamenti come una strategia di sopravvivenza che viene usata per affrontare un disagio psicologico;
– non colpevolizzarsi e non andare alla ricerca di eventuali errori commessi che possano aver provocato il problema;
– non insistere nel tentativo di modificare i comportamenti e non discutere di alimentazione, peso e corpo;
– non concentrare l’attenzione solo sul paziente trascurando gli altri componenti della famiglia;
– non rinunciare alla vita sociale assecondando l’isolamento della paziente che rappresenta l’espressione del suo disagio psicologico, in quanto è una componente essenziale del mantenimento della malattia;
– non assecondare atteggiamenti lesivi;
– non perdere mai la calma;
– non considerare i disturbi dell’alimentazione come malattie di cui vergognarsi e da tenere nascosti;
– non attuare tentativi terapeutici di auto prescrizione.
Cari lettori, semmai doveste trovarvi davanti ad una persona cara che soffre di un disturbo alimentare non
scappate e non abbiate timore. Provate a comunicare con lei come se foste davanti ad un disperso: chiedetegli cosa gli è successo, da dove viene, dove vorrebbe arrivare e accompagnatelo senza invadenza verso la strada del ritorno.
Dott. Mario Russo,Dietista
Dott.ssa Viviana Valtucci, Dietista e Nutrizionista